La Magia Nera è quella che più immediatamente richiama l’idea di un esercizio con finalità d’interesse personale. “La forza che, nascosta, guida la magia è la sete di potere. […] L’eterna ambizione dell’adepto delle Arti Nere consiste nell’acquistare potere supremo su tutto l’universo, e fare di se stesso un dio.” La Magia Nera elaborata in The Lord of the Rings non sfugge a questa definizione. Chiunque eserciti il potere del negromante lo fa perché vuole acquisire supremazia sugli altri, vuole mettersi un gradino (o forse anche più di uno) più in alto rispetto alla massa. Tale supremazia, finalizzata chiaramente ad un’idea di comando, di potere “politico”, non si pone limiti morali: tutto si può fare pur di realizzare il sogno proibito.
Se, da una parte, la supremazia appare quasi come una sete immotivata, tanto è fine a se stessa, dall’altra emerge altrettanto chiaramente il pensiero del nostro autore a riguardo: il potere di per sé è sempre fonte di corruzione e distruzione. La distinzione tra Magia Bianca e Magia Nera si basa quindi esclusivamente sulle loro finalità, giacché, ribadisco con Tolkien, “Nessuna [ magia ] è, in questa favola, buona o cattiva (di per se), ma lo diventa solo per il motivo o lo scopo o l’uso.” I poteri di Sauron e dei suoi adepti non sono più appariscenti rispetto a quelli di Gandalf. Si tratta sempre di un’arte sottile che lavora più sulle coscienze che sui corpi. Si ripropone qui l’eterno conflitto tra Bene e Male, le cui definizioni vedono attribuire al Bene un potere originale e creatore, mentre al Male un potere pervertitore, distruttore e, nel complesso, una “brutta copia” di quello del Bene. L’autore ha sottolineato spesso come la Magia malvagia, per il fatto che il Male, secondo lui, non esiste come entità originaria, sia sempre una forma di corruzione di un potere originariamente positivo.
Tuttavia, avvicinarsi alla magia di per sé può implicare il rischio di cadere nella corruzione e nel desiderio sfrenato di dominio, perché la magia causa comunque un’esaltazione delle normali possibilità personali che non tutti possono essere in grado di controllare. Basti pensare ai Rings of Power: il loro scopo principale era quello di prevenire o rallentare il decadimento, Come certe figure tradizionali di maghi potenti e semi-divini, Sauron non può essere propriamente ucciso: il trucco per abbatterlo sta nel sottrargli il suo potere, affinché egli diventi solo una semplice “ombra del male.” Tale potere è per la maggior parte racchiuso nell’Anello da lui stesso forgiato, e che rappresenterebbe qui la “bacchetta magica” del negromante del folklore: è infatti attraverso l’Unico che egli può esercitare il suo dominio. Senza di quello, la sua arte rimane potente, ma assai sminuita, rendendolo quindi molto più vulnerabile.
Da un punto di vista magico, quindi, l’Anello rappresenta lo strumento del potere del negromante, strumento che può essere anche vicario del suo stesso proprietario, nel senso che è in grado di agire, di esprimere quel potere, anche quando il negromante è fisicamente distante. Tradizionalmente, gli oggetti magici “impregnati” del potere del mago acquistano automaticamente una vita propria e sono in grado di esercitare anche a distanza i loro influssi. Rovescio della medaglia di questo aspetto è il concetto-sineddoche della “parte per il tutto”, ossia la legge magica per la quale agire magicamente su una sola parte di un corpo, o comunque su qualcosa di legato a quel corpo, significa agire sul corpo stesso. Entrambe queste regole sembrano valere anche per l’Anello e per il suo Signore. L’arte magica di Sauron trova la sua massima espressione proprio nella forgiatura dell’Anello.
Non dimentichiamo, infatti, che è proprio Sauron, sotto mentite spoglie, ad insegnare agli Elfi un’arte di forgiare gioielli assai più raffinata di quella che già conoscevano, la quale include la capacità, assai utile per i propositi dell’Oscuro Signore, di mescolare al metallo poteri meravigliosi. Questo lo avvicina alla figura mitica del fabbro, nonché dell’alchimista, perché egli cerca attraverso un anello d’oro personalmente forgiato di conquistarsi il potere su tutto l’universo. Magica è anche la sua capacità di acquisire una forma fisica che “copra” la sua realtà spirituale e gli permetta di camminare tra gli uomini. È tale forma che i suoi nemici, se ne sono in grado, possono distruggere; ma Sauron può comunque farsene una nuova, e così all’infinito, se mantiene il suo originario potere. Con l’avvento della Terza Era, però, il Negromante sceglie di mantenere solo la sua oscura essenza spirituale, e di porsi fisicamente solo come Occhio, forma che è in realtà più metaforica che corporea. In un certo senso questa scelta aumenta il suo peso “magico” all’interno del romanzo: Sauron sarà sempre fisicamente invisibile, tuttavia la sua presenza sarà continuamente avvertibile in una serie di fenomeni quali l’Oscurità, l’Ombra, la desolazione dei suoi territori, ma anche lo stesso Anello, l’Occhio che campeggia sugli scudi e sugli stendardi del suo esercito, la torre nella quale sta rinchiuso, Barad-dûr, letteralmente la Torre Oscura, dalla quale la sua vista può spaziare in lungo e in largo.
Egli non ha più un corpo, ma magicamente è come si fosse incarnato e moltiplicato in mille altri corpi, oggetti e immagini, il cui effetto generico è assai più efficace di, ad esempio, un’unica, tradizionale raffigurazione da mago malvagio. Questa immagine contribuisce ad accrescere il potere di Sauron, a rendere più credibile la sua quasi immortalità, a designare un Male assoluto rispetto al semplice stregone del folklore. Sauron stesso “collabora” alla stesura di questa immagine, in quanto è attraverso la sua magia che certi “mostri” del romanzo prendono vita, o perché li crea lui stesso, o perché, attraverso la sua cattiva influenza, perverte creature originariamente neutrali. Che la sua magia operi prevalentemente a livello psichico non deve stupirci: molta Magia Nera tradizionale altro non è che la capacità di coercizione sulle menti altrui, e il così detto attacco psichico è una delle sue forme principali.
A tale scopo, Sauron utilizza la magia della Machine di definizione tolkieniana, “…angariando il mondo reale, o costringendo le alte volontàs.” Gli schiavi di Sauron, se escludiamo gli Orchi e gli altri soldati, il cui ruolo è prevalentemente quello di fungere da braccio per la Mente Malvagia, sono prevalentemente spettri. Dai Nazgûl ai Fantasmi risvegliati da Aragorn, che una volta avevano servito il Negromante, l’assenza fisica spicca come il loro attributo primario, talvolta malamente sopperita da mantelli che, fasciando l’ombra, danno loro una parvenza di corpo. Il motivo dello spettro all’interno di The Lord of the Rings si rifà solo in parte all’immagine tradizionale dello spirito che vaga senza riposo, e che il mago evoca al suo servizio. Lo spettro è qui l’ideale personificazione dell’assenza del corpo intesa come assenza di identità, e in tale modo il Male può appropriarsene e riversarvi la propria essenza.
L’assenza è la principale caratteristica del Male, che Gandalf definisce più volte con l’efficace termine nullità. Il Male distrugge, perverte, divide, annulla, perché deve rovesciare e vanificare ogni risultato del Bene: come suo opposto, non può che porsi come vuoto di fronte al pieno. Altro tipo di spettro possono essere considerati i Salici che imprigionano gli Hobbit prima del loro incontro con Tom Bombadil, in quanto rappresentano una delle poche rappresentazioni negative della Natura all’interno di tutto il romanzo. La loro magia si realizza in un canto sommesso, definito come “formula magica”, e in una conseguente sonnolenza che sembra quasi “strisciare fuori dalla terra”. Anche nel caso degli Spettri dei Tumuli, pur non essendo direttamente legati a Sauron, essi rappresentano comunque l’idea dell’ombra malefica, con, in più, un richiamo alle forze sotterranee che minano la vita superiore, la Luce. Ma Tom riesce a domare i fantasmi col potere magico della sua parola, così come Aragorn riesce a conquistarsi l’aiuto della cavalcata spettrale grazie alla magia della profezia, “attivata” dalla sua autorità regale.
La Magia Nera serve quindi spesso anche da misura per i poteri del Bene: pone gli ostacoli che l’eroe deve fisicamente e/o moralmente superare; ovvero crea lo stato di fatto che deve essere cambiato attraverso una superiore capacità. Se Sauron costituisce il fulcro di una rappresentazione magico-malefica totale, Saruman è il personaggio che più si avvicina all’idea del mago tradizionale, andando a costituire il perfetto opposto di Gandalf. È una figura interessante, in quanto egli è a sua volta un Maia, che la sete di potere personale ha fatto rivolgere alle arti oscure. Destinato dal suo ruolo di guardiano della Terra di Mezzo ad approfondire la tradizione degli Anelli di Potere, ha finito per invaghirsi dell’idea di poter essere lui il futuro dominatore. Egli non è un servo di Sauron, ha solo finto di mettersi al suo servizio per carpirgli più sapienza ancora e, infine, il ruolo di Lord. Ma, in realtà, egli appare più che altro un’ironica copia di Sauron: come il Negromante, porta al dito un anello magico, e ha sotto di sé Orchi e altri servi, che comanda con le sue magie. Singolare, se pensiamo che il Sauron a cui egli si ispira è a sua volta l’idea pervertita, una mockery [brutta copia, scimmiottatura], secondo la concezione tolkieniana, della figura positiva del divino: Saruman, risulta quindi il terzo passaggio di una catena di “cadute”, l’ultimo riflesso di uno stravolgimento, drammatico e ironico allo stesso tempo, dell’immagine del Bene.
Anche Saruman rientra pienamente nel quadro che Tolkien ci dà del potere malvagio: la sua magia, basata tutta sul fascino della sua voce, è una magia del sembrare, che si fonda solo sulla possibilità che gli altri vengano ingannati dal suono mieloso e convincente delle sue parole. Nient’altro che un inganno, dunque, attraverso il quale Saruman crea a sua volta delle ombre nelle menti dei suoi avversari come in quelle dei suoi servi. Inoltre la finalità di tale magia è solo quella di distruggere: se Sauron rende ciò che tocca sterile e deserto, Saruman lo trasforma in una cava, in una fucina, in una sorta di fabbrica, poiché egli desidera, accanto al dominio, anche la ricchezza (che, evidentemente, non è in grado di procurarsi semplicemente schioccando le dita). Magia significa anche qui magnificare le possibilità del Male come entità presente in tutte le civiltà di tutti i tempi, rendere tali possibilità (e i loro effetti) più visibili, più pericolosi, e stimolare quindi una risposta adeguata. Stranamente, però, tale risposta non arriva direttamente dalla Magia Bianca, la quale, come ho illustrato, fornisce solo un supporto, ma non risolve niente solo con il tradizionale incantesimo, bensì necessita anche del dispiegarsi di valori che sono universali e tutt’altro che magici: l’amicizia, il coraggio, il sacrificio, presenti in piccole creature estranee a qualsiasi natura meravigliosa (per quanto possano apparire strane e fantastiche a noi lettori).
Dallo scontro tra ordinario e magico nasce la “via d’uscita”, la soluzione sia strutturale che tematica del romanzo, in quanto la magia dà la spinta necessaria al procedere dell’avventura, fornendo le cause, gli ostacoli, i fini, nonché la brevità necessaria allo scioglimento di certe situazioni complicate (oltre alla sicurezza che dà la presenza di un potere superiore, che aiuti dove le forze umane falliscono). Ma il nocciolo della ricerca tolkieniana, come alla fine di tutte le ricerche, è quello di mettere in risalto le qualità dell’eroe. Perché c’è sempre un momento, in tutte le tradizioni in cui la magia è presente, nel quale, senza un’attiva partecipazione dell’eroe, la missione non avrebbe né senso né termine, per cui l’elemento magico risulta essere solo una forma di decorazione, qualcosa che fa piacere che ci sia, ma sul quale non si può mai contare fino in fondo. Non a caso, gli eroi del romanzo, dopo l’iniziale stupore, percepiscono della magia più il valore simbolico che quello propriamente fantastico.
Come abbiamo visto, la Magia Bianca si trasforma in saggezza e rispetto del segreto intimo della vita; mentre la Magia Nera è avvertita subito nella sua qualità di rappresentante del Male e, quindi, nei suoi effetti disastrosi. Ciò non toglie che all’interno di The Lord of the Rings permangano degli elementi, dei temi, delle figure, puramente magici, residui di quella tradizione meravigliosa a cui Tolkien aveva attinto, nonché necessari per dare “colore” alla narrazione. Uno degli aspetti magici che ritroviamo nel romanzo, ad esempio, è l’utilizzo dei numeri, prevalentemente il tre, il sette, e il nove. Tali numeri fanno parte della storia della magia, e il loro significato può essere alternativamente positivo o negativo. Il potere magico dei numeri è originariamente assai più ampio e importante di come lo utilizza Tolkien, filtrato attraverso una tradizione più che altro mitologico-letteraria. I numeri hanno un ruolo arcano in quasi tutti i pensieri magici, dalla Numerologia propria, alla Cabala, alla Stregoneria.
In Tolkien rimane più che altro implicito: il lettore avverte certamente che un costante utilizzo di quei numeri non è casuale, ma ha dei riferimenti al loro significato magico. Tuttavia, che questo particolare venga colto o meno non ha importanza ai fini dello svolgimento della trama, e d’altra parte Tolkien stesso non gli attribuisce nessun preciso riferimento, magico o mitico che sia. Gli Spettri dell’Anello non sono più pericolosi perché sono nove invece che dieci o otto. Il simbolo numerico pare, quindi, permanere nel romanzo solo a livello superficiale, come residuo di una tradizione in cui anche i numeri avevano precisi richiami simbolici, spesso trasformati da Tolkien in un puro gioco di corrispondenze (ad esempio, i nove Nazgûl e i nove membri della Compagnia dell’Anello).
Il Fosso di Helm